venerdì 17 febbraio 2012

La perfetta imperfezione (versione rivista)

Se osserviamo con attenzione il nostro mondo, ci accorgiamo che l’elemento più costante e universale è la diversità. Ogni forma, ogni essere, ogni frammento dell’esistenza porta in sé una variazione, una sfumatura, una differenza.

In un universo fondato sulla diversità, l’idea di perfezione come immutabilità o assoluto equilibrio sembra stonare. Per sua stessa definizione, la perfezione esclude il cambiamento, l’imprevisto, il differente. È una chiusura su sé stessa, come Narciso che si specchia incantato, dimentico di tutto ciò che non sia il proprio riflesso.

Eppure, la vita — almeno per come la conosciamo — è bellezza proprio perché è imperfetta, mutevole, molteplice. Ogni creatura, ogni evento, ogni forma nasce da un intreccio di differenze. Possiamo spingerci nell’infinitamente piccolo, cercando una particella ultima, fondamentale. Ma ciò che troviamo non è un’unica entità fondante, bensì un mosaico di componenti, interazioni, probabilità.

Non esiste un centro assoluto, una struttura perfetta su cui tutto si regge. Esiste invece un ordine che nasce dal disordine apparente, un’armonia che si rivela proprio nella molteplicità.

Forse, allora, la vera perfezione non sta nell’uniformità, ma nella capacità dell’imperfetto di generare bellezza, vita, sorpresa. E se un principio superiore esiste, se qualcosa o qualcuno ha dato origine a tutto questo, non può che essere intimamente legato a questa logica della varietà. Un principio perfetto, sì — ma perfetto nella sua imperfezione, come la vita stessa.

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