I numeri naturali e l’illusione dell’unità ripetuta
I numeri naturali devono il loro nome al fatto che rappresentano il modo apparentemente "naturale" con cui gli esseri umani contano: uno, due, tre... fino a sette mucche in un campo. Siamo così abituati a pensare al numero 7 come la somma di sette unità – 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 – che dimentichiamo facilmente che “sette” è prima di tutto un concetto, un’entità distinta e autonoma.
Non è sbagliato dire che 7 sia la somma di sette 1: è formalmente corretto. Ma questa visione ci àncora a una concezione additiva dei numeri che rischia di offuscarne la struttura più profonda. Il numero 7 ha una propria identità, diversa da quella del 3, del 5 o dell’11: non solo per la quantità che esprime, ma per le relazioni che intrattiene con gli altri numeri, la sua posizione nella rete delle divisibilità, la sua indivisibilità rispetto ai prodotti di altri numeri.
Un numero primo, per esempio, è un numero naturale maggiore di 1 che è divisibile solo per sé stesso e per 1. Questa definizione, semplice all’apparenza, è in realtà carica di significato: ci dice che certi numeri non si lasciano scomporre, non sono il prodotto di fattori più piccoli. Essi sono, in un certo senso, atomi aritmetici: unità fondamentali della struttura dei numeri naturali.
Pensare a 7 come qualcosa che non è riducibile a parti più elementari, se non all’unità stessa, ci invita a riconsiderare l’idea che ogni numero sia sempre il risultato di una ripetizione di 1. Forse, a un livello più astratto, possiamo immaginare un universo matematico in cui la molteplicità è originaria, dove i numeri esistono come essenze distinte, e non necessariamente come aggregati.
In questa prospettiva, il numero 7 non è soltanto “sette volte uno”, ma una presenza autonoma, indivisibile, non costruita a partire dall’unità, ma coesistente con essa. Come se l’1 e il 7 fossero due aspetti fondamentali di un sistema numerico primordiale: l’unità e la molteplicità, senza che l’una debba necessariamente derivare dall’altra.
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