martedì 30 aprile 2013

Scacco matto

Non ho mai ignorato che la politica sia un gioco fine, anche se continuo a pensare che la testa d'ariete, in queste faccende, sia costituito dalla spietatezza.
Bersani ha perso. Per scacco matto.
Quando ha cercato un approccio verso il M5S sapeva bene che parte del suo partito non era per nulla d'accordo. Tuttavia ci ha provato, con tutte le forze. Io sono convinto della sua sincerità. Sicuramente non gli sfuggiva che noti ed ignoti giocatori di scacchi stavano giocando la loro partita contro. Ma essendo fondamentalmente un onesto, non ingenuo, ma non sufficientemente spietato, ha preferito poi non spaccare il partito, quando Grillo ha offerto collaborazione. Perché, chi doveva, questo messaggio a Bersani glielo ha fatto arrivare forte e chiaro: se scegli Rodotà, spacchiamo il PD.
E' in questa fase che si gioca la mossa vincente dei bastardissimi giocatori di scacchi: far credere al Bersa che sul nome di Prodi il PD poteva spendersi compatto.
Lucida e spietata quella mente che ha orchestrato i cento parlamentari del PD: applaudite il nome di Prodi e poi affondatelo al voto.
Scacco matto. E il povero Bersa non ha potuto far altro che mestamente dimettersi.

venerdì 17 febbraio 2012

La perfetta imperfezione (versione rivista)

Se osserviamo con attenzione il nostro mondo, ci accorgiamo che l’elemento più costante e universale è la diversità. Ogni forma, ogni essere, ogni frammento dell’esistenza porta in sé una variazione, una sfumatura, una differenza.

In un universo fondato sulla diversità, l’idea di perfezione come immutabilità o assoluto equilibrio sembra stonare. Per sua stessa definizione, la perfezione esclude il cambiamento, l’imprevisto, il differente. È una chiusura su sé stessa, come Narciso che si specchia incantato, dimentico di tutto ciò che non sia il proprio riflesso.

Eppure, la vita — almeno per come la conosciamo — è bellezza proprio perché è imperfetta, mutevole, molteplice. Ogni creatura, ogni evento, ogni forma nasce da un intreccio di differenze. Possiamo spingerci nell’infinitamente piccolo, cercando una particella ultima, fondamentale. Ma ciò che troviamo non è un’unica entità fondante, bensì un mosaico di componenti, interazioni, probabilità.

Non esiste un centro assoluto, una struttura perfetta su cui tutto si regge. Esiste invece un ordine che nasce dal disordine apparente, un’armonia che si rivela proprio nella molteplicità.

Forse, allora, la vera perfezione non sta nell’uniformità, ma nella capacità dell’imperfetto di generare bellezza, vita, sorpresa. E se un principio superiore esiste, se qualcosa o qualcuno ha dato origine a tutto questo, non può che essere intimamente legato a questa logica della varietà. Un principio perfetto, sì — ma perfetto nella sua imperfezione, come la vita stessa.

sabato 11 febbraio 2012

Quanto so' bbello (versione rivista il 18/06/2025)

L'illusione dell’essere speciale

È opinione diffusa che l’essere umano rappresenti il vertice dell’evoluzione. Alcuni si spingono persino a dire che ci abbia messo mano un dio, magari ispirato da un momento di vanità. Eppure, mentre ci compiacciamo della nostra superiorità, milioni di insetti – scarafaggi, coleotteri, formiche – si fanno grasse risate. Da centinaia di milioni di anni sopravvivono, si adattano, si moltiplicano. E noi? Siamo una specie sola, fragile e recentissima, che rischia di autoestinguersi con le proprie stesse invenzioni.

Tutto ciò che vive oggi sulla Terra ha superato prove immense: è sopravvissuto a glaciazioni, cataclismi, cambiamenti climatici e predatori. In questo senso, ogni specie vivente è “evoluta” quanto basta per restare in gioco. Il resto è narrativa nostra, comoda e consolatoria.

Meglio non fare paragoni, perché ne usciremmo piuttosto ammaccati. La biodiversità è un indice di successo, e in quel campo siamo messi maluccio. I coleotteri, da soli, contano più specie di quante ne sappiamo immaginare. Noi invece siamo rimasti in una sola versione: Homo sapiens. Fine. Niente aggiornamenti, nessuna variante ufficiale.

Siamo davvero il capolavoro del creato? O solo una delle tante possibilità dell’evoluzione, con la sfortuna di prenderci troppo sul serio?


venerdì 10 febbraio 2012

7 mucche 7 (versione rivista il 18/06/2025)

I numeri naturali e l’illusione dell’unità ripetuta

I numeri naturali devono il loro nome al fatto che rappresentano il modo apparentemente "naturale" con cui gli esseri umani contano: uno, due, tre... fino a sette mucche in un campo. Siamo così abituati a pensare al numero 7 come la somma di sette unità – 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 – che dimentichiamo facilmente che “sette” è prima di tutto un concetto, un’entità distinta e autonoma.

Non è sbagliato dire che 7 sia la somma di sette 1: è formalmente corretto. Ma questa visione ci àncora a una concezione additiva dei numeri che rischia di offuscarne la struttura più profonda. Il numero 7 ha una propria identità, diversa da quella del 3, del 5 o dell’11: non solo per la quantità che esprime, ma per le relazioni che intrattiene con gli altri numeri, la sua posizione nella rete delle divisibilità, la sua indivisibilità rispetto ai prodotti di altri numeri.

Un numero primo, per esempio, è un numero naturale maggiore di 1 che è divisibile solo per sé stesso e per 1. Questa definizione, semplice all’apparenza, è in realtà carica di significato: ci dice che certi numeri non si lasciano scomporre, non sono il prodotto di fattori più piccoli. Essi sono, in un certo senso, atomi aritmetici: unità fondamentali della struttura dei numeri naturali.

Pensare a 7 come qualcosa che non è riducibile a parti più elementari, se non all’unità stessa, ci invita a riconsiderare l’idea che ogni numero sia sempre il risultato di una ripetizione di 1. Forse, a un livello più astratto, possiamo immaginare un universo matematico in cui la molteplicità è originaria, dove i numeri esistono come essenze distinte, e non necessariamente come aggregati.

In questa prospettiva, il numero 7 non è soltanto “sette volte uno”, ma una presenza autonoma, indivisibile, non costruita a partire dall’unità, ma coesistente con essa. Come se l’1 e il 7 fossero due aspetti fondamentali di un sistema numerico primordiale: l’unità e la molteplicità, senza che l’una debba necessariamente derivare dall’altra.

Per metà fisica e per metà no

La fisica per definizione rifugge dalla metafisica. La fisica osserva il mondo e trova che esso è regolato da leggi, e che esistono relazioni precise tra le parti. Ovviamente non conosciamo ancora perfettamente tutte le relazioni esistenti. La scoperta di parti talvolta è favorita dalla presenza di una relazione che ne preannuncia l'esistenza. Questa circostanza può farci pensare che sviluppando tutte le relazioni, dobbiamo necessariamente trovare tutte le parti mancanti.
Ma se di colpo sparissero tutte le parti, potremmo continuare ad affermare che le relazioni tra di esse continuerebbero ad esistere?
Dovremmo ammettere che le leggi esistevano prima durante e dopo l'esistenza delle parti. E per me l'esistenza di leggi al di là dell'esistenza delle parti è un concetto puramente metafisico, perché significherebbere sostenere l'esistenza di qualcosa di simile ad un supremo regolatore.

Il più grande spettacolo prima del big bang

Se ammettiamo che non è pensabile che vi siano leggi a prescindere dalla materia, ovvero date a priori, ma che le leggi scaturiscano dalla mera esistenza della materia, allora dobbiamo altresì ammettere che il comportamento iniziale della materia sia dipendente dalla materia stessa.
Definiamo A come l'ente all'origine di tutto.
Se il mondo è popolato da sole A ed A è un ente che determina il suo mondo, A non può dar luogo a diversità neanche mediante mera addizione, in quanto per poter esprimere detta proprietà non ha altra possibiltà di farlo che per via selettiva. Ma se A è capace di preferire una determinata A rispetto ad un'altra A, allora dobbiamo necessariamente concludere che non tutte le A sono uguali, cosa che confligge con l'assunto iniziale, ovvero che tutte le A sono uguali tra loro.

Questa situazione di stallo può essere superata solo ammettendo all'origine del tutto almeno due enti A e B diversi tra loro.

domenica 22 gennaio 2012

Rette più o meno parallele

Una delle più affascinanti creazioni della mente umana è la rigorosa ed ordinata geometria sistemata negli Elementi di Euclide.
Una costruzione talmente robusta ed inattaccabile da aver resistito due millenni ad ogni attacco. Diciamo subito che detta fabbrica è ancora solidamente in piedi.
Quello che ingigantisce ogni oltre giudizio la grandezza di questa opera di ingegno, tuttavia, non è tanto la perfezione dei suoi costrutti, ma il suo punto di debolezza.
Il famoso quinto postulato.
La sua indimostrabilità nel sistema di cui fa parte, era il pertugio da cui osservare mondi superiori. Se osserviamo bene, spesso possiamo riscontrare che i grossi balzi del sapere umano sono dovuti a questi "nei". Per fare un esempio, è come se ci trovassimo al cospetto di uno specchio meravigliosamente levigato e riflettente, in cui ammirare senza imperfezioni la nostra immagine riflessa. Ma... con un forellino in qualche parte. Un'imperfezione? Forse. Ma sicuramente lo spiraglio per vedere oltre.